Solitamente le paure fanno parte del nostro aspetto più intimo e a parte momenti particolari, non abbiamo troppa voglia di condividerle con gli altri perché sappiamo che rivelano qualcosa di importante di noi, che preferiamo tenere nascosto. Spesso anche a noi stessi.
E’ stato quindi interessante ieri lavorare con i gruppi partecipanti al corso Conoscersi tenuto presso la Libera Università di Scandicci chiedendo loro di:
- Individuare le proprie paure
- Identificare se ci fossero sotto temi comuni
- Raccontarle ad un compagno
- Condividerle nel gruppo.
Si è creato un clima emotivamente coinvolgente, con la bellezza dell’assenza di giudizio, anzi dell’accoglienza e incoraggiamento di chi si prendeva il rischio di uscire allo scoperto.
Sono diverse lezioni che lavoriamo sul tema della Bioenergetica, alla scoperta delle nostre corazze fisiche, delle ferite che più ci rappresentano e delle maschere che indossiamo per coprirle. Siamo partiti dalla rappresentazione del nostro corpo, dal prenderci le misure, disegnarci, confrontare percezione e realtà e iniziare a guardarci con occhi diversi.
Insieme alla struttura corporea le nostre paure raccontano molto delle nostre ferite, perché guidano il modo in cui ci poniamo nel mondo.
In particolare:
- Chi soffre della ferita da rifiuto che ha percepito da piccolo che gli sia stato negato il diritto di vivere indossa la maschera del fuggitivo. Ha paura di essere colto dal panico che lo congela e gli impedisce di fuggire. E’ più incline di altri ad avere attacchi di panico, potremmo dire che ha paura di vivere, così come di essere rifiutato.
- Chi soffre della ferita da abbandono e ha percepito la negazione del diritto di avere bisogno indossa la maschera del dipendente. Ha paura di essere abbandonato e quindi della solitudine. Ha paura di non essere mai abbastanza importante per meritare l’attenzione altrui, ha paura della morte.
- Chi soffre della ferita da umiliazione e ha percepito la negazione del diritto di imporsi indossa la maschere del masochista. Ha bisogno ma allo stesso tempo paura della libertà. Teme di essere schiacciato e umiliato. Ha paura di vergognarsi di se stesso e dei suoi cari o di suscitare la vergogna altrui.
- Chi soffre della ferita da tradimento e ha percepito la negazione del diritto di essere autonomo indossa la maschere del controllore. Ha paura del fallimento o della sconfitta. Teme di essere controllato, manipolato, umiliato, sopraffatto. Ha paura della separazione e del rinnegamento. Del confronto e di perdere il potere. Della dissociazione e della follia.
- Chi soffre della ferita da ingiustizia e ha percepito la negazione del diritto di amare sessualmente indossa la maschere del rigido. Ha quindi paura di lasciarsi andare, di sbagliare, di mostrare la propria vulnerabilità e quindi di essere respinto. Ha paura della freddezza e dell’autorità.
Nessuno soffre di un’unica ferita, e in alcune situazioni ne può emergere una oppure un’altra, di sicuro nessuno ne è immune. Come possiamo vedere ogni ferita ci porta ad avere determinate paure, e condiziona il modo in cui percepiamo gli altri e gli accadimenti: se un compagno parte per qualcuno significherà abbandono, per altri una sconfitta, per altri ancora la prova di essere respinto. L’azione è la stessa (magari una semplice partenza per un viaggio di lavoro) ma ognuno la vive in maniera diversa.
E’ per questo che è difficile raccontare le nostre paure, perché vuol dire raccontare le nostre fragilità, mostrare il nostro lato più debole, mentre abbiamo impiegato anni per proteggerlo. A volte non siamo neanche coscienti di averle tali paure, le abbiamo mascherate talmente bene che inganniamo anche noi stessi.
Essere in grado di vederle, farle emergere, condividerle con altri ci permette invece di arrivare a capire cosa ci fa più male, magari scoprire anche che quelle difese messe in atto, tanto utili da piccoli, non hanno ora più ragione di esistere, e quindi possono essere abbandonate per permetterci di vedere la realtà così com’è, senza filtri.
Significa iniziare quel processo di guarigione che porta verso la consapevolezza di sé e che alleggerisce il nostro carico di dolore. E’ un processo lungo, non lineare, ma che una volta intrapreso difficilmente si riesce ad abbandonare.
Provare per credere.
Interessante.